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Un'orazione non è altro che un discorso. Tutto ciò che si fa o si dice, da sempre, tendenzialmente ha un fine. La pro Cluentio ha come fine globale semplicemente la difesa che Cicerone sostenne in un processo penale celebrato a Roma nel 66 a.c. a favore di un certo Aulo Cluentio Habito, accusato (solo) di veneficio. Si trattò di uno di quei casi giudiziari che fece scalpore e che per anni suscitò l'interesse di tutto il popolo. Oggi diremmo che la pro Cluentio fece "audience". L'orazione va letta, non d'un fiato (come stranamente sostenuto dal C.J. Classen), ma a piccoli periodi, più e più volte, fino a sentire il gusto della parola, fino a vedere le immagini suggerite da Cicerone, fino a carpire (difficile ma non impossibile) la stessa gestualità adoperata, comprese le pause tra una frase e un'altra. Solo a questo punto saranno apprezzabili le motivazioni che lo hanno spinto a scegliere quel determinato criterio argomentativo a sfavore di un altro, quella determinata parola, quella determinata metafora, quella determinata gestualità ecc., fino al punto da assaporare in maniera del tutto naturale il complesso della strategia adottata, fino al punto in cui i perché delle scelte compiute emergeranno da soli in maniera autonoma.